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Santo del giorno 27 dicembre: Beata Sara Salkahazi vergine e martire PDF Stampa E-mail
Martedì 27 Dicembre 2022 00:00

Santo del giorno 27 dicembre: Beata Sara Salkahazi vergine e martireSára Salkaházi fu la secondogenita di Leopold e Klotild Stiller e venne alla luce l’11 maggio 1899 a Kassa – l’odierna cittadina slovacca di Košice – una delle più eleganti città ungheresi sulle propaggini orientali dei monti metalliferi di Gömör-Szepes, dove il nonno era proprietario di un rinomato hotel. Dopo aver conseguito il diploma di maestra presso l’istituto delle Orsoline di Kassa. Con l’avvento del nuovo regime in seguito alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico sancito dalla firma del trattato di pace di Trianon, era praticamente impossibile ottenere un insegnamento perché Sára Salkaházi si rifiutava di giurare fedeltà al governo cecoslovacco. Non si tirò indietro davanti a nessun tipo di lavoro e per un anno svolse dapprima le mansioni di impiegata presso l’ufficio del Grand Hotel Schalkhaz, e poi – considerato lo stipendio piuttosto esiguo – ai principi di gennaio del 1920 iniziò il suo apprendistato presso il laboratorio del rilegatore Pintér. Proprio in quegli anni cominciò a coltivare la passione per la scrittura e, dopo essere riuscita a ottenere la tessera di giornalista, a partire dal 1926 divenne redattrice dell’organo ufficiale del Partito Nazionale dei Socialisti Cristiani cecoslovacchi NÉP, impegnandosi attivamente come membro della direzione del partito soprattutto nel settore che si occupava delle questioni sociali che riguardavano le donne, tanto da diventare ben presto portavoce degli operai e di tutti coloro che non potevano rivendicare i propri diritti. Fu proprio in questo ambiente che incominciò a prendere coscienza dei problemi che affliggevano il mondo del lavoro tanto che saranno al centro anche delle sue principali attività. Nel corso di questi anni, in particolare tra il 1918 ed il 1928, inizia pian piano a percepire la sua vocazione tra le fila della congregazione religiose nella quale entrerà a far parte. Ad aiutarla a chiarire le idee pensarono alcune religiose della Società del Servizio Sociale che ebbe la fortuna di conoscere nel 1928, che la aiutarono a trovare le risposte alle domande che da alcuni anni ormai tormentavano i suoi pensieri tanto che il 6 febbraio 1929 decise di lasciare Kassa per trasferirsi a Budapest allo scopo di iniziare il suo periodo di noviziato presso le Suore del Servizio Sociale. Dopo aver preso i primi voti solenni, la domenica di Pentecoste del 1930, subito si fece notare per il suo carisma, dedicandosi in diverse attività: dall’insegnamento alla supervisione delle opere di carità, dall’organizzazione del lavoro della comunità all’attività giornalistica a favore delle donne cattoliche, raggruppate poi in un’associazione nazionale col beneplacito della Conferenza Episcopale Slovacca che, il 3 marzo 1933, affiderà alle Suore Sociali l’organizzazione e il controllo delle donne, nominando proprio suor Sàra Schalkházi moderatrice nazionale. Quindi, durante la Pentecoste del 1940, potè pronunciare la sua professione perpetua dedicandosi al servizio dei bisognosi. Nel frattempo, il 30 agosto 1940, subito dopo la firma del secondo arbitrato di Vienna, si profilava un altro grave problema: la lotta contro l’antisemitismo. Il ritorno sotto l’amministrazione militare ungherese della Transilvania e della Terra dei Szekely aveva determinato anche il dispiegamento dei militari nazisti in quella zona, i quali, l’8 novembre 1940, indussero le autorità governative magiare a decretare l’espulsione di ben ventiquattro famiglie ebree, costrette ad abbandonare rapidamente Csíkszereda in poche ore. Due giorni dopo, visto che i Rumeni si rifiutavano di prenderli in consegna, su ordine del comandante militare, i gendarmi ungheresi, a piccoli gruppi, li condussero oltre il confine russo da dove, tuttavia, poco dopo alcuni riuscirono a rientrare clandestinamente e ad avvertire i loro congiunti. Ad occuparsi di questa delicata missione fu incaricata proprio suor Sára che, immediatamente, si recò da Técső a Körösmező dove riuscì a parlare con un agente di polizia il quale la rassicurò che li avevano presi in consegna i Russi e dopo qualche giorno sarebbero stati rimessi in libertà. Il clima politico diventò sempre più difficile e pericoloso soprattutto quando, il 19 marzo 1944, di fronte al rifiuto oppostogli dal reggente Miklós Horthy di appoggiare le potenze dell’Asse accettando lo stazionamento di truppe tedesche in Ungheria e un cambiamento di governo più compiacente alla politica nazista, Hitler decretò l’occupazione dell’Ungheria mediante l’Operazione Margarethe.  Poi, dopo aver appreso delle trattative segrete per siglare l’armistizio con l’Unione Sovietica intavolate dall’Ammiraglio Horthy il 15 ottobre 1944, ordinò al colonnello Skorzeny di arrestarlo e affidare il governo magiaro nelle mani più compiacenti del leader filo-tedesco del Partito delle Croci Frecciate Ferenc Szálasi, il quale subito si macchiò di efferati delitti e della deportazione in massa di migliaia di cittadini di religione ebraica verso i lager nazisti. Di lì a poco il Führer nominò l’ambasciatore Edmund Veesenmayer plenipotenziario del Reich Tedesco in Ungheria e Otto Winkelmann capo delle SS e della Polizia col preciso intento di presiedere alla soluzione finale della popolazione ebraica ancora residente in Ungheria. In questo clima arroventato dall’odio e dalla violenza, suor Sára Salkaházi si prodigò ad aiutare i perseguitati riuscendo a trarre in salvo un centinaio di persone, tra donne e bambini, che nascose sotto mentite spoglie nella casa madre di via Thökölyne e nell’altra di via Bokréta 3 a Budapest, di cui era direttrice, che aveva preso in affitto il 31 ottobre 1944 per offrire riparo ad oltre un centinaio di donne operaie. Dopo l’avvento al potere del partito dei Croce frecciati anche la villa sul lago Balaton che ospitava il primo istituto popolare di insegnamento superiore per operaie, si riempì di profughi offrendo asilo a più di trenta ebrei perseguitati. Insieme al vescovo di Győr Vilmos Apor, al cardinale József Mindszenty, al console svizzero Carl Lutz e a molti esponenti di spicco di altre ambasciate presenti a Budapest, ispirati dall’attivismo del diplomatico svedese Raoul Wallenberg e dall’italiano Giorgio Perlasca – che, il 30 novembre 1944 era riuscito a spacciarsi per incaricato d’affari spagnolo – fu allestita una rete clandestina per sottrarre alla deportazione verso i lager nazisti decine di migliaia di ebrei residenti a Budapest, grazie a numerosi documenti di protezione emessi su carta intestata delle rispettive ambasciate e la costituzione di varie “case protette” che, godendo del diritto di extraterritorialità, si rivelarono un rifugio sicuro per molti ebrei braccati dai nazisti e dai loro sodali ungheresi delle Croci Frecciate. Si mosse anche la nunziatura apostolica della Santa Sede che, dopo aver espresso formale protesta al governo ungherese per la deportazione degli ebrei, oltre alla produzione di numerosi falsi certificati di battesimo, provvide a distribuire loro circa 30.000 “lettere di protezione”. Anche la casa madre delle Suore del Servizio Sociale che sorgeva a Budapest in via Thököly godeva di questo privilegio. Tuttavia, consapevole del grave rischio al quale si era esposta ospitando fin dal 1942, all’interno della casa madre alcuni rifugiati slovacchi, suor Sára, per impedire che i croce frecciati potessero far del male alle consorelle, il 14 settembre 1943 aveva chiesto e ottenuto dai suoi superiori l’autorizzazione a offrire il sacrificio della propria vita «nel caso in cui dovesse avvenire la persecuzione della Chiesa e quella della società e delle suore, […per] risparmiarle dalle minacce e dalle torture». La cerimonia si svolse solennemente, in gran segreto, nella piccola cappella della casa madre di via Thököly. Difatti i croce frecciati avendo sospettato degli atteggiamenti di suor Sára, si misero a tallonarla per controllare ogni suo spostamento. Durante la seconda guerra mondiale, mentre le truppe d’assalto sovietiche dell’Armata rossa nella loro travolgente offensiva sul Fronte orientale cingevano d’assedio Budapest in un sanguinoso combattimento senza esclusione di colpi nel tentativo di accerchiare la Wehrmacht, il 27 dicembre 1944, nella capitale ungherese avvolta da una gelida caligine invernale, un drappello de i croce frecciati filonazisti e antisemiti, capeggiato da Ferenc Szálasi, in seguito a una spregevole delazione di una diciassettenne, con un blitz a sorpresa faceva improvvisamente irruzione nella casa delle Suore del Servizio Sociale situata al civico 3 di via Bokréta e arrestarono la direttrice, suor Sára Salkaházi insieme ad altre sei persone lì rifugiate, appena due giorni dopo il Natale, la mattina del 27 dicembre 1944. Fu a quel punto che la suora capì che per lei non c’era più nulla da fare, rapidamente aprì la porta della cappella e, prostrata davanti al tabernacolo per qualche minuto, si raccolse in una fervida preghiera stringendo forte il rosario fra le sue mani finché il gendarme spazientito l’afferrò brutalmentee la condusse presso il loro ufficio in Ferenc körút 41. Da quel momento di suor Sàra Salkaházi e delle altre persone arrestate non si seppe più niente. Le consorelle attesero invano il suo ritorno recitando i salmi per tutta la notte, senza sapere che ormai il sacrificio si era già consumato. Il giorno successivo, infatti, appresero da un giovane croce frecciato che suor Sàra Salkaházi era stata giustiziata all’imbrunire insieme agli altri prigionieri ebrei, dopo un processo sommario, senza neanche una regolare sentenza. I particolari raccapriccianti del martirio di suor Sára, tuttavia, furono rivelati soltanto alcuni anni dopo, nel corso del processo che si celebrò a Zugló nel 1967 nei confronti dei diciannove aderenti al partito dei croce frecciati responsabili della tortura e del massacro di tutte quelle persone innocenti. In tale circostanza, infatti, uno degli imputati raccontò, con dovizia di particolari, che «durante quella notte di fine dicembre, i prigionieri vennero trasportati a sera tarda davanti all’edificio della dogana centrale e costretti a togliersi i vestiti di dosso I poveri disgraziati stavano lì, sulla riva del fiume e sapevano che dovevano morire. Alcuni si lamentavano e imploravano la grazia. In quel momento – prima che rimbombassero nell’aria gli spari del plotone d’esecuzione – una piccola donna dai capelli neri e corti si girò con un’incredibile tranquillità verso i giustizieri, li guardò per un istante negli occhi, si inginocchiò e, alzando gli occhi al cielo, si fece un ampio segno della croce». Fu questo il suo ultimo gesto d’amore anche verso i suoi carnefici i quali, evidentemente, non ancora paghi dello scempio commesso, trascinarono i loro corpi ancora caldi sulla riva del Danubio e, senza alcun ritegno, afferrandoli per i piedi e le braccia, li scaraventarono tra le onde alte che non li avrebbe mai più restituiti. Sara Salkahazi, religiosa professa dell’Istituto delle Suore dell’Assistenza, fu uccisa in odio alla sua opera di difesa degli ebrei il 27 dicembre 1944 a Budapest (Ungheria). In virtù di questo esemplare gesto d’amore, nel 1969 suor Sára Salkaházi ha ricevuto da Yad Vashem il titolo di “Giusto tra le Nazioni”. La rapidissima causa di canonizzazione, avviata con il nulla osta della Santa Sede il 14 dicembre 1996, ha portato in soli dieci anni al riconoscimento del suo martirio “in odium fidei” del 28 aprile 2006, passo necessario per la sua beatificazione senza la necessità di un miracolo avvenuto per sua intercessione. La cerimonia di beatificazione è stata celebrata a Budapest il 17 settembre 2006 nel corso della quale è stata innalzata agli onori degli altari dal Primate d’Ungheria, card. Péter Erdő, in rappresentanza di Benedetto XVI. La Chiesa la commemora nel giorno del martirio il 27 dicembre.

estratto da: http://www.santiebeati.it

da Centro Cultura Popolare