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Ancona: … un po’ di storia su Giacomo Zanotto PDF Stampa E-mail
Venerdì 26 Febbraio 2016 19:06

Ancona un po’ di storia su Giacomo ZanottoPubblichiamo un contributo storico di un nostro lettore di Ancona: "ZANOTTO GIACOMO. Fin da giovane fu educato all’uso delle armi e nelle lingue. Lasciò Dulcigno anni prima della morte del padre. Venne richiamato a Venezia d’urgenza, in una riunione privata con il Consiglio dei X, seppe della morte del padre. Accettò di promuovere azioni di guerriglia e disturbo ai danni delle varie piazza-forti ottomane. Portò le sue azioni persino nei dintorni della stessa Costantinopoli assoldando bande di briganti, assassini ed altro purché distogliessero battaglioni di soldati dal fronte. Partecipò quasi sempre in prima persona alle scorribande per dirigerle. Eseguì una mappa del porto di Costantinopoli, con le difese ed i punti d’approdo. Partecipò in prima persona alla battaglia di Lepanto come descrive la tradizione: “travestito da pastore greco locale, armato di pugnali, due nascosti nelle fasce delle calzature, nella cinta e uno sotto la camicia, era sbarcato dalla galea che lo aveva trasportato e sulla quale aveva lasciato la sua armatura, di produzione tedesca, della quale la borgognotta con mezza buffa è ancora presente. A piedi raggiunse la cima di uno dei promontori che sorvegliavano l’insenatura della baia. Salito in cima, come si aspettava, trovò un bivacco di tre giannizzeri che sorvegliavano la flotta dall’alto. Quando lo videro arrivare e tentarono di balzargli addosso, ma vennero eliminati dai due pugnali, che lanciati, colpirono uno all’addome e l’altro alla gola. Il terzo non tentò di dare l’allarme, tipico della mentalità dei giannizzeri, più un nemico è forte e più c’è gloria nell’abbatterlo. Giacomo fidando in questo attese l’attacco con un pugnale per mano, il giannizzero sguainò la scimitarra e sferrò un fendente che venne parato dalla daga nella mano destra, e con un passo avanti gli infilò l’intera lama della daga nella gola perché non gridasse. Recuperò i pugnali, nascose i corpi, accese delle torce sul fuoco del loro bivacco, fece dei segnali alla capitana dei Cavalieri di Malta (con il comandante, il veneziano Pietro Giustiniani, aveva già preso accordi). La capitana entrò a lanterne spente, controllò il fondale per verificare che non ci fossero trappole sommerse. Esso nel frattempo prendeva appunti sul numero e sul genere delle navi della flotta Turca. Terminato il suo compito, lasciò la maggior parte degli abiti dietro ad un cespuglio, ne tenne alcuni stracciandoli. Scese verso la spiaggia e si confuse con gli schiavi scesi per caricare i rifornimenti (possedendo la conoscenza delle lingue slava, albanese, greca e turca), li avvertì che presto sarebbero stati tutti liberati. Gli schiavi si galvanizzarono.  Intanto salì sulla sultana del rinnegato cristiano,  Ulug Alì, lesse gli ordini di battaglia e scese dalla nave senza che nessuno si accorgesse di lui. In quel momento di pace, i Turchi non pensavano minimamente di essere attaccati. I cavalieri di Malta lo aspettavano in una piccola rada a lanterne spente. Salì sulla loro galea che si diresse verso Messina, nella cabina del Giustiniani trascrisse gli ordini turchi in italiano e consegnò una copia ai comandanti in capo e una la diede al Giustiniani stesso(copia che a fine battaglia lo stesso Giustiniani stesso donerà a Giacomo). Si rivestì di nuovo della sua armatura e partecipò egli stesso alla battaglia sulla capitana della flotta sabauda(fungendo da tramite, in quanto conoscitore del cifrario veneto della marina militare)”. Sulla stessa galea conobbe Francesco Maria II della Rovere, Francesco Paolo Sforza di Caravaggio e Gianbattista Bonarelli della Rovere. Combattè valorosamente assieme al conte Andrea Provana di Leynì, Giacomo gli chiese di non figurare nel suo rapporto al suo duca e il conte, benché non convinto, accettò.  Leynì non lo nominò, ma menzionò in lode al suo aiuto il si fa riferimento ad un apporto esterno. La relazione è conservata nell'Archivio di Stato di Torino. Per gli innumerevoli atti di coraggio, come la sottrazione degli ordini di comando dalla galea capitana di Ulug Alì pascià (ove si delineava come sconfiggere la flotta cristiana a Lepanto ed averli inviati a Venezia, affinché il  governo prendesse provvedimenti), l’esecuzione di una mappa manoscritta del porto di Costantinopoli, segnalazioni tramite torce ai Cavalieri di Malta, ed il fido suo e fedele servizio dei suoi, venne creato cavaliere di San Marco (Kr), dal doge Alvise Mocenigo I, nelle sue stanze private, con ducale datata 16 dicembre 1571, beneficio trasmissibile a tutti i suoi discendenti legittimi in perpetuo. Durante un altro viaggio, sfortuna vuole che la sua galea venisse attaccata e catturata dai pirati. Venne portato in catene a Costantinopoli( sicuramente fu imprigionato a Yedi Kule, sette torri, cerniera dell’apparato difensivo dell’antica Costantinopoli). Patì in prigione le torture e solamente alla carità pubblica della Repubblica poté ritornare in patria. Per le torture subite nelle prigioni turche poco tempo dopo morì. Trasferì titolo comitale ai figli legittimi, di modo che potessero trasferirlo in perpetuo. Ebbe quattro figli: Lorenzo(11), Giacomo(12), Giovanni(13), Andrea(14). Ebbe una figlia ZORZINA. I figli decisero di trasferirsi nel pordenonese, dopo matrimoni convenienti diedero origine a nuovi rami".

 

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