perché le oche del Campidoglio, sacre a Giunone, allarmate dai movimenti degli assedianti, presero improvvisamente a starnazzare svegliando gli assediati in tempo sufficiente per respingere l'assalto dei Galli. A seguito di questo episodio sul Campidoglio venne edificato il tempio di "Iuno Moneta" (Giunone Monitrice), dove in seguito vennero coniate le prime monete di Roma: da qui l'etimo dell'attuale parola “moneta”. Con molta probabilità la leggenda delle oche del Campidoglio si formò in epoca successiva al Sacco di Roma per compensare l'onta subita, mentre a questo episodio venne dedicata la festività del 3 agosto, durante la quale i cani venivano crocefissi perché non avevano avvertito della presenza del nemico sotto il colle e le oche venivano portate in processione e onorate come salvatrici della patria. Mentre era in corso il Sacco di Roma, i Romani iniziarono a organizzare le prime forme di resistenza. Marco Furio Camillo, sebbene esiliato dai suoi concittadini ad Ardea, inflisse alcune sconfitte ai Galli sui campi di battaglia nei dintorni della città. Brenno si accorse ben presto che, sebbene egli controllasse Roma, c'era il concreto rischio che si raggiungesse una condizione di stallo potenzialmente pericolosa per il suo esercito. Probabilmente per questo motivo il condottiero senone propose ai magistrati romani di riscattare la città contro il versamento di 1000 libbre d'oro. I Romani dapprima accettarono, poi protestarono, sostenendo che le bilance utilizzate per la pesa del riscatto fossero state alterate; Brenno allora gettò sul piatto dei pesi anche la sua spada (in modo da aumentare il valore del bottino richiesto ai Romani), pronunciando la famosa frase "Vae victis!", "Guai ai Vinti!". È molto probabile che, ottenuto dai Romani quanto richiesto, i Galli abbiano abbandonato la città per tornare alle proprie terre, terminando la campagna di invasione. Tuttavia, la tradizione romana, nell'intento di recuperare l'onore perduto, tramanda che il dittatore Marco Furio Camillo, venuto a conoscenza della richiesta di riscatto, tornò velocemente a Roma per affrontare di persona Brenno. Giunto alle bilance gettò anch'egli la propria spada sui piatti, così da compensare il peso della spada del barbaro. Quindi gli si rivolse dicendo: "Non auro, sed ferro, recuperanda est Patria", ossia: "Non con l'oro si riscatta la Patria, ma con il ferro". I Romani, sotto la guida di Furio Camillo, si riorganizzarono, la città venne liberata, il condottiero Romano continuò a inseguire Brenno e i suoi anche oltre i confini di Roma e Brenno fu costretto a rifugiarsi nel nord dell'Italia, mentre Furio Camillo venne insignito del titolo di Pater Patriae, ossia: "Padre della Patria", come se si trattasse di un secondo Romolo (WWW Brenno = http://it.wikipedia.org/wiki/Brenno). Il Sacco di Roma fu certamente un evento catastrofico: l'esercito romano era stato travolto in campo aperto e subì perdite gravissime. Di questo disastro si conservò l'eco nelle pagine di diversi storici greci del IV secolo: Filisto, Eraclide, Pontico, Teopompo e perfino Aristotele. Il resto della storia è quasi certamente frutto del tentativo delle fonti annalistiche di edulcorare la vergogna della disastrosa sconfitta (KRUTA-MANFREDI, p. 89). Silio Italico (Pun., 1, 625) menziona le armi «portate in processione da Camillo al suo ritorno, quando i Galli furono scacciati dalla cittadella», ma ricorda anche (4, 150) che «lo stesso Crixio, orgoglioso per i suoi antenati, si proclamava discendente di Brenno e annoverava fra i suoi vanti quello della presa del Campidoglio» (KRUTA-MANFREDI, p. 91). (da 154 - Alberto Fiorani, Brenno, Ostra Vetere (AN) Centro Cultura Popolare, 2011, pp. 72-73).
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