Santo del giorno 5 febbraio: Sant'Agata Vergine e martire Stampa
Domenica 05 Febbraio 2023 00:00
due traduzioni, una latina e due greche, Agata apparteneva a una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione. Sin da piccola sentì il desiderio di consacrarsi a Cristo e sui 15 anni il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Il proconsole di Catania Quinziano ebbe l’occasione di vederla e se ne incapricciò e, in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio. Il proconsole venne conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronì di lui, ma i tentativi di seduzione trovano la resistenza ferma della giovane Agata. Egli allora mise in atto un programma di rieducazione della ragazza, affidandola a una cortigiana di facili costumi di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, ma lei resistette nel proteggere la sua verginità consacrata. Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegnò a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”. Il giorno successivo altro interrogatorio accompagnato da torture: ad Agata vengono stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza. Allora Quinziano, al colmo del furore, le fece strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie. Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, verso la mezzanotte le apparve san Pietro apostolo che la risana dalle amputazioni. Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, venne riportata alla presenza del proconsole che, viste le ferite rimarginate, domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, che non poteva sopportare oltre, e ordinò che venisse bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate. Secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla. Mentre Agata spinta nella fornace ardente muore bruciata, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine e il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo. Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora sant’Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e contro gli incendi. L’ultima volta che il suo patrocinio si è rivelato valido, tramite il miracoloso velo portato in processione dall’arcivescovo di Catania, è stata nel 1886, quando una delle ricorrenti eruzioni dell’Etna minacciava la cittadina di Nicolosi, posta sulle pendici del vulcano e che venne risparmiata dalla distruzione. Nel 1040 le reliquie della santa furono trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le trasportò a Costantinopoli; ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale Gilberto e il pugliese Goselmo, le riportarono a Catania dopo un’apparizione della stessa santa, che indicava la buona riuscita dell’impresa; la nave approdò la notte del 7 agosto ad Aci Castello, tutti i catanesi risvegliatisi e rivestitisi alla meglio, accorsero a onorare la “Santuzza”. Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea, opera di celebri artisti catanesi; vi è anche il busto argenteo della “Santuzza”, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono di re Riccardo Cuor di Leone. Il culto per sant’Agata fu talmente grande, che anche a Roma fu molto venerata e papa Simmaco (498-514) eresse in suo onore una basilica sulla Via Aurelia e un’altra le fu dedicata da san Gregorio Magno nel 593.

estratto da: http://www.santiebeati.it

da Centro Cultura Popolare