Ostra Vetere: “montenovonostro” onora il guelfo bianco Dante Alighieri Stampa
Sabato 29 Maggio 2021 18:53
queste idee, ebbe una carriera politica di discreta importanza: fu nel Consiglio del popolo, nel gruppo dei "Savi", fece parte del Consiglio dei Cento, fu inviato talvolta come ambasciatore, e venne eletto priore della Repubblica (la carica più importante del comune fiorentino). Il poeta fu un politico moderato, tuttavia convinto sostenitore dell'autonomia comunale, che doveva essere libera dalle ingerenze del potere esterno e combattere la fazione di chi voleva chiamare gli stranieri a invadere la patria. Perciò contribuì ad allontanare da Firenze i capi e le "teste calde" delle due fazioni avverse, il che fece rischiare un colpo di stato, attirando sui responsabili, Dante compreso, sia l'odio della parte nemica sia la diffidenza degli "amici". Lui stesso definì ciò come l'inizio della sua rovina (il detto "dagli “amici” mi guardi Dio, che ai nemici ci penso io" è ugualmente valido allora come oggi). Condannato in contumacia al rogo e alla distruzione delle case mentre era ambasciatore a Roma, Dante non rivide mai più Firenze. In qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò un tentativo di rientrare a Firenze, ma l'impresa fu sfortunata; fallita anche l'azione diplomatica, i Bianchi decisero un nuovo attacco militare contro i Neri, ma Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro la lotta armata, trovandosi in minoranza e addirittura sospettato di tradimento. Decise perciò di non partecipare alla battaglia e prese le distanze dal gruppo oltranzista. Come preventivato, la battaglia di Lastra fu un fallimento, con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi. Dopo ciò dovette rassegnarsi all’esilio: in Lunigiana, in Romagna, in Veneto. Qualcuno sospetta un suo viaggio anche nelle Marche, quantomeno a Fonte Avellana. Comunque lo sentiamo nostro: la stessa sua opera a difesa della dignità della lingua “volgare” italiana, nel “De vulgari eloquentia”, è la nostra stessa difesa del dialetto popolare. Eppure Dante è rimasto nel cuore degli italiani nonostante siano trascorsi ben 756 anni da quando è nato. Onore a lui.

da montenovonostro