Roma: Quel lontano 16 marzo 1978, un giorno da non dimenticare Stampa
Venerdì 16 Marzo 2018 16:38
Come qualcuno ha detto, c’è un oceano di pubblicazioni, cinque processi e sette commissioni parlamentari, ma ancora restano dubbi, sospetti,perplessità.  Moro si trovò a operare alla fine di un periodo, al confine fra una vecchia politica e alla necessità di individuarne una nuova. Gli anni settanta si aprono sotto il segno di una triplice crisi, economica, sociale e delle istituzioni. Se non si rileggono quegli anni, non si riesce ad inquadrare il processo di deterioramento della politica italiana, dei partiti, che nel rapimento ed assassinio di Aldo Moro trovò il momento più drammatico, doloroso e sconvolgente. Quegli anni settanta, figli diretti del ’68, fenomeno complesso, partito dai giovani, un turbinio di passioni, parole, gesti,  rivolta, illusioni, che non finì il 31 dicembre dell’anno. Ma il ’68 non fu solo “contestazione giovanile”, solo follie da “maggio francese”,  soffocato manu militari dal Generale De Gaulle con il contributo del generale Massu, suo storico antagonista in Algeria. Il ’68 fu anche lotte operaie che portarono cambiamenti sostanziali nel mondo del lavoro e dei sindacati e una maggior consapevolezza nella società civile. Anche la Chiesa, con il Concilio Vaticano II, si presenta con un volto nuovo. Il ’68 ha dato vita ad uno dei momenti più convulsi e instabili della nostra storia recente, quegli anni settanta , i peggiori anni dalla nascita della Repubblica e punto di partenza del terrorismo e della violenza organizzata, di “destra” e di “sinistra”, quasi uno studiato bilanciamento di una orrenda realtà.  Moro capì ciò che stava accadendo. Talvolta in contrasto con il suo stesso partito. Moro fu tra i pochissimi a tener conto della importante posizione dell’Italia nel quadro internazionale. E questo è un dato importante, perché ci libera dal racconto che Moro non fosse “gradito” agli americani e in particolare, a Henry Kissinger  che, con il suo talvolta anzi spesso cinico pragmatismo, faceva fatica a capire il lucido ragionamento del leader italiano che non era quello di un accordo tout court con Botteghe Oscure, ma invece quello di un allargamento dell’area della democrazia per giungere ad un sistema di alternanze.  Un disegno purtroppo interrotto, non solo per Moro, ma anche per Berlinguer, perché non pochi dicevano ”i tempi non sono maturi”, che tradotto dal politichese significa: “ non se ne deve far niente”. La DC e il PCI erano “integrati”, stante la divisione, nei due blocchi in una formula semplice: noi governiamo e voi fate l’opposizione per poi passare all’incasso elettorale. Questa formula, per molti comoda, aveva ingessato il sistema, facendo dell’Italia un paese anomalo tra le democrazie occidentali. Sono passati quarant’anni. Una rilettura attenta del percorso politico di Moro , epurato da quella irritante vulgata che lo ha dipinto come personaggio contorto e fumoso, ci porta inesorabilmente ad una analisi del presente, che vive una crisi valoriale e politica come non mai. La lezione di Moro anche in periodo di mutazioni epocali, rimane sempre di attualità. E proprio la rilettura della sua politica, del suo pensiero che sono importanti. E questo è lavoro di altri, non di commissioni di tutti i generi e di autori alla ricerca di scoop. Abbiamo 55 giorni per pensare.   Angelo Sferrazza.

da ANPC Nazionale