Ostra Vetere: Mensilario della nascita a Jesi il 26 dicembre 1194 dell’imperatore Federico II che voleva sottomettere Montenovo Stampa
Lunedì 26 Giugno 2023 19:05
questa data non compaiono ancora i Comuni di Serra e di Barbara, probabilmente perchè ruotano ancora nell’orbita delle rispettive signorie feudali. Più precisamente la "villa di Barbara" dipende dalla Abbazia di Sitria, il cui dominio si conserva ancora solido nei decenni successivi. A fronte dello sviluppo dell'autonomia comunale, numerosi sono i tentativi di penetrazione e di restaurazione imperiale nella Marca, alla riconquista del perduto potere, appoggiati dal ridestato spirito ghibellino di alcune città e dalla nascita di un vero e proprio partito filo-imperiale. Ciononostante la Santa Sede accentua sempre di più la sua presenza provvedendo a effettuare il riordinamento amministrativo della Marca, dividendo il suo territorio in tre Presidiati competenti in materia spirituale, civile e criminale: il territorio senigalliese viene quindi sottomesso al Presidiato di San Lorenzo in Campo. Tuttavia la vittoria dell’imperatore a Cortenuova nel 1237 sui Comuni dell'Italia settentrionale segna la ripresa delle ostilità ghibelline anche nell'Italia centrale. Fra il 1239 e il 1240 entra nella Marca il figlio di Federico II, Enzo, che assume la reggenza anche del Comitato di Senigallia e recluta milizie nei Comuni della zona. Le truppe imperiali operano saccheggi e requisizioni nell'entroterra senigalliese, spingendosi fin verso le contrade del Farneto sul Nevola (verso Castelleone), del Montale e del Cronale Grosso nella valle del Misa (verso Serra de’ Conti), occupando anche la villa di Barbara. Allora gli abitanti di quest'ultima sono costretti ad abbandonare le loro case dopo averle distrutte, e a trasferirsi con i loro beni nel castello di Montenovo, poichè non possono sperare protezione dal loro signore feudale, l'Abate di Sitria. Naturalmente la fuga spinge i barbaresi a liberarsi anche dai vincoli di servaggio feudale, prestando il giuramento di "castellanìa" o di incastellamento, che li affranca definitivamente dal loro signore: ciò corrisponde anche agli obiettivi interessi del Comune di Montenovo che, con il giuramento di castellanìa di oltre una quarantina di famiglie di profughi, viene a incrementare il suo peso politico ed economico nella zona. Ben volentieri quindi il Comune di Montenovo accetta l'incastellamento, anzi lo favorisce mandando una moltitudine di suoi cittadini ad aiutare i barbaresi nella fuga. Questi ultimi quindi, con la conquistata libertà personale, acquisiscono tutti i diritti tipici dei "liberi": da allora in avanti possono liberamente possedere i loro beni, venderli e acquistarli, decidere di far sposare liberamente le loro figlie, difendersi in giudizio e cosi via. Naturalmente l'acquisizione di questi diritti esige un costo: e infatti gli stessi devono pagare al Comune che li ha accolti le tasse o "affitti", ma comunque nella stessa misura degli altri concittadini. Dopo il 1248 però, quando il Legato Pontificio Cardinale Rainerio entra nella Marca con un contingente di truppe senza trovare eccessiva resistenza, iniziando l'opera di restaurazione dell'autorità pontificia, l'Abate di Sitria, che solo per necessità contingenti aveva acconsentito a che i barbaresi trovassero scampo nella fuga sia dai nemici imperiali e sia dalla sua autorità feudale, tenta di riprendersi gli antichi diritti sugli uomini e sui loro beni. A questo proposito nel 1252 intenta causa davanti al giudice di San Lorenzo in Campo, di fronte al quale convengono sia il Sindaco (nel senso di procuratore) dell'Abbazia di Sitria, sia il Sindaco del Comune di Montenovo con uno stuolo di testimoni che sostengono il buon diritto, ormai consolidato da oltre 12 anni, del Comune a esercitare la piena giurisdizione sugli scampati barbaresi. Naturalmente depongono anche i barbaresi a sostegno della tesi di Montenovo, evidenziando che erano sì fuggiti, ma con il consenso dell'Abate, e avevano anche giurato "castellanìa" a Montenovo, ma non avevano potuto fare altrimenti, poichè costrettivi non dai montenovesi, ma dalla paura dei "teutonici" di Federico II e dalle straordinarie vicende del tempo. Non erano quindi fuggiti in malafede, bensì spintivi dalle necessità, nè si erano sottratti all'autorità dell'Abate con la frode e l'inganno: chiedono quindi il riconoscimento del loro buon diritto a rimanere "uomini liberi" sotto la giurisdizione del libero Comune di Montenovo contro le tardive pretese dell'Abate di Sitria che, con il processo, intende invece riportarli al loro antico stato servile, presumibilmente sostenendo che i barbaresi erano stati costretti a giurare fedeltà a Montenovo dagli uomini di questo castello, i quali, per rendere irrevocabile la loro imposizione, avrebbero incendiato le case e poi razziato le masserizie, deportando gli stessi uomini di Barbara. Tutte le testimonianze servono invece a provare il contrario: il fuoco non era stato appiccato prima della fuga, ma dopo, e non erano stati i montenovesi a bruciare la villa di Barbara, ma i suoi stessi abitanti per non farla cadere intatta nelle mani degli incursori imperiali teutonici di Federico II, e infine che i montenovesi non avevano costretto nessuno, anzi erano andati ad aiutare quelli di Barbara e ciò solo dopo essere stati più volte sollecitati. Questo è tutto quel che si ricava dalla più antica pergamena conservata nell'Archivio Storico di Montenovo a tutt’oggi inedita: un rotolo fittamente manoscritto, lungo più di tre metri, che contiene le deposizioni dei testimoni a favore della tesi di Montenovo. Uno dopo l’altro, ben 58 testimoni sfilano davanti al Giudice Rainaldo e al suo notaio Massarello, che verbalizza, per confermare con esasperante monotonia la tesi della volontarietà dell’incastellamento in Montenovo dei profughi barbaresi”. Da tutto ciò si dimostra come la vera terra della libertà fu Montenovo, che l’imperatore Federico II aveva cercato di opprimere. Da cristiani piangiamo la morte dell’uomo, da montenovesi ci sentimmo liberati di lui. E se è vero che “un popolo che non conserva la memoria del proprio passato è destinato a non avere nemmeno un futuro”, noi vogliamo conservare intatta la memoria del nostro passato nella speranza di un futuro migliore.

da Centro Cultura Popolare