Ostra Vetere: Mensilario del titolo di Operaio d'onore al sampietrino Giovanni Segoni il 19 gennaio 1951 Stampa
Venerdì 19 Maggio 2023 18:43
"Trofeo", gli archeologi di Pio XII ritrovarono il luogo della primitiva sepoltura di Pietro (dell'anno 64), ma lo trovarono vuoto. Come spiegare questo mistero? La risposta verrà dal rinvenimento, a nord della sepoltura primitiva, di un loculo, rivestito di marmo, di epoca costantiniana (inizio del IV secolo) che l'Imperatore aveva fatto scavare all'interno di un muro già esistente (il cosiddetto muro "G") e dove vi aveva deposto, avvolte in prezioso tessuto di porpora e d'oro, le ossa dell'Apostolo. La parete nord del Muro "G", era ripiena di graffiti col nome di Cristo, di Maria e di Pietro. Di enorme importanza fu il ritrovamento di un graffito di sette lettere greche, inciso sul "Muro rosso" nella zona sulla quale veniva ad appoggiarsi il lato nord del muro "G". In tal modo il graffito veniva a trovarsi all'interno del Loculo, come risulta dal suo perfetto adattamento alla lacuna rimasta nell'intonaco del "Muro rosso". Ciò ha portato giustamente la professoressa Guarducci ad arguire che quella scritta fosse stata graffita da una mano insinuatasi nel loculo prima della sua chiusura in età costantiniana. Tale graffito diceva: “Pet eni”, “Pietro è qui dentro”. Al termine degli scavi, se si era ritrovata con certezza la tomba di san Pietro, non altrettanto si poteva dire per le ossa del santo. Tali scavi infatti misero in luce sia la primitiva tomba interrata sia quella costantiniana ricavata nello spessore del muro "G", ma delle ossa non se ne seppe almeno - ufficialmente - nulla. Il merito del rinvenimento delle ossa dell'Apostolo va principalmente alla professoressa Margherita Guarducci, il cui nome resterà per sempre legato al ritrovamento e alla identificazione scientifica delle ossa del santo; come la stessa professoressa Guarducci ha scritto nel suo libro: La Tomba di San Pietro edito nel 1989 dalla Editrice Rusconi di Milano. Perché infatti le ossa di san Pietro non furono ritrovate nel Loculo del muro ''G" nel quale Costantino le aveva certamente riposte? Per comprenderlo bisogna rifarsi al 1941. In quell'epoca, monsignor Kaas, che era il sovrintendente agli scavi, per controllare personalmente il procedere dei lavori era solito fare, verso sera, a Basilica chiusa, un giro di ispezione nella zona degli scavi, accompagnato dal "sampietrino" Giovanni Segoni. Una sera, durante l'ispezione, monsignor Kaas notò che all'interno del Loculo del muro "G'", in mezzo a vari detriti ivi caduti dalle pareti in seguito alle forti scosse causate dagli scavi, affioravano alcune ossa umane, sfuggite ai quattro archeologi che vi lavoravano durante il giorno, forse perché giudicarono di nessuna rilevanza archeologica i detriti crollati nel Loculo. Ma l'occhio più attento di monsignor Kaas o forse quello del "sampietrino" Segoni notarono le ossa; e fu un innato senso di pietà verso i trapassati che monsignor Kaas decise di separare subito le ossa dai detriti e di farle mettere dal Segoni in una cassetta di legno che lo stesso Segoni e monsignor Kaas depositarono in un magazzino nelle grotte vaticane. Con ciò, scrive la Guarducci, monsignor Kaas aveva salvato, pur non sapendolo, le reliquie di Pietro. Monsignor Kaas, dice la Guarducci. In realtà fu il nostro capoccia sampietrino Giovanni Segoni a salvare le preziose reliquie. Ma è necessario fare un salto di oltre 10 anni e arrivare al 1953, anno in cui la professoressa Guarducci ebbe il permesso di scendere a ispezionare le grotte vaticane per studiare i numerosi graffiti esistenti sul muro ''G''. «Mentre mi scervellavo per trovare una via dentro quella selva selvaggia [dei graffiti], mi venne in mente che forse mi sarebbe stato utile sapere se qualche altra cosa fosse stata trovata nel sottostante Loculo, oltre i piccoli resti descritti dagli scavatori nella relazione ufficiale. Era, per caso, vicino a me Giovanni Segoni, da poco promosso al grado di "capoccia" [capo] dei sampietrini. A lui, che sapevo aver preso viva parte agli scavi, rivolsi dunque la mia domanda, ed egli mi rispose senza esitare: “Si, qualche altra cosa ci deve essere, perché ricordo di averla raccolta io con le mie mani. Andiamo a vedere se la troviamo". Egli mi guidò allora verso il deposito dei materiali ossei, davanti alla cappella di San Colombano. Entrai dunque dietro il Segoni, per la prima volta, in quell'ambiente. Lì, fra casse e canestri pieni di materiali ossei e di altre cose varie, giaceva ancora al suolo la cassetta che più di dieci anni prima il Segoni stesso e monsignor Kaas vi avevano deposta… Un biglietto, infilato tra la cassetta e il coperchio, molto umido ma ancora perfettamente leggibile, dichiarava che quel materiale proveniva dal muro "G". II Segoni mi disse di averlo scritto egli stesso sotto dettatura di monsignor Kaas, ciò che, del resto, era prassi usuale. Credetti opportuno e doveroso portare subito la cassetta nello studio dell'ingegner Vacchini [direttore dell'Ufficio tecnico della Fabbrica di San Pietro] e qui, davanti alla finestra, la cassetta fu aperta e ne estraemmo il contenuto. Vi trovammo una certa quantità di ossa, di colore spiccatamente chiaro, frammiste a terra, un paio di scaglie di marmo, frammenti di laterizi e di malta, frammenti d'intonaco rosso, piccolissimi frammenti di stoffa rossastra intessuta di fili d'oro, e una moneta medioevale d'argento, che poi risultò battuta a Lucca nell'XI secolo, parte di altre monete gettate dai fedeli intorno alla tomba di Pietro lungo i secoli, e anche introdotte nel Loculo attraverso una fessura dell'intonaco tuttora esistente. La professoressa voleva che il riconoscimento di quelle ossa fosse condotto con estremo rigore scientifico e da diversi specialisti nelle varie scienze mediche, paleoantropologiche, storiche, ecc. E di fatto tali esami iniziarono subito e si protrassero per ben 10 anni, fino al giugno del 1963.  Nel 1956, come antropologo fu scelto dalle autorità della Fabbrica di San Pietro il celebre professor Venerando Correnti che prese a studiare le ossa contenute nella cassetta. Ed ecco il risultato dei suoi studi: - le ossa appartenevano ad un unico individuo;- esse appartenevano a un individuo di sesso maschile e di robusta costituzione vissuto circa 2000 anni fa; - l'età dell'individuo oscillava tra i 60 e i 70 anni; - esse costituivano, in volume, circa la metà del totale dello scheletro e rappresentavano tutte le parti del corpo, cranio compreso (27 frammenti), esclusi i piedi; - tutte le ossa erano incrostate di terra; - alcune ossa sporgenti presentavano tracce regolari di colore rossastro che facevano pensare a un involucro di tessuto. Ora, tutte queste caratteristiche si adattavano perfettamente alla persona di Pietro. A conclusione di tali accertamenti e di altri rigorosissimi fatti negli anni seguenti da scienziati di tutto il mondo, Paolo VI, durante l'udienza pubblica nella Basilica Vaticana del 26 giugno 1968, annunciò ai fedeli che le ossa di Pietro erano state ritrovate e identificate. Il giorno seguente giovedì 27 giugno 1968, le reliquie del corpo di Pietro furono solennemente riportate nel Loculo del muro "G" dove Costantino le aveva deposte sedici secoli prima e da dove, 27 anni prima, monsignor Kaas le aveva inconsapevolmente tolte, salvandole però in tal modo da quasi sicura dispersione. Ma senza il lavoro accurato, la memoria prodigiosa e il biglietto scritto da Giovanni Segoni non sarebbe stato possibile rinvenire le ossa di san Pietro Apostolo e martire, primo papa della Chiesa Cattolica fondata da Gesù Cristo. Tutte queste notizie sono tratte dal volume della collana di testi del Centro di Cultura Popolare testo numero 277 - Alberto Fiorani, Il montenovese Franco Segoni detto Tarugo, Ostra Vetere (AN) Centro Cultura Popolare, 2016, pp. 80, alle pagine 45-50.

 

da Centro Cultura Popolare