Che c'entra San Giovanni Gualberto? Stampa
Domenica 12 Luglio 2009 12:51
Petroi, in Val di Pesa, intorno all'anno mille dalla nobile famiglia dei Visdomini. I tristi tempi di lotte fratricide lo trovarono, ancora giovane, al bivio dell'odio e dell'amore: suo fratello Ugo fu assassinato e a Giovanni, secondo il costume del tempo, fu assegnato il compito di vendicare l'oltraggio con la morte dell'uccisore. Il drammatico incontro avvenne, un Venerdì Santo, in una strettoia fuori porta San Miniato, a Firenze. Di fronte al nemico che, tremante e con le braccia stese in forma di croce, invoca pietà, Giovanni gettò la spada, scese da cavallo e concesse il perdono. Salì poi alla Basilica poco distante di S. Miniato e si inginocchiò davanti al crocifisso. Il Cristo, racconta il biografo del Santo, mosse il capo in segno di approvazione. A motivo di questo gesto San Giovanni Gualberto è riconosciuto come "Eroe del perdono". Dopodiché Giovanni, vincendo le dure resistenze del padre, si ritirò all'interno del monastero benedettino annesso. Una volta diventato monaco, il suo impegno si diresse a difendere la Chiesa dalla simonia della compravendita di cariche ecclesiastiche e l'assoluzione di peccati e indulgenze, e dal nicolaismo dei religiosi che vivevano in concubinato. Suoi primi avversari furono il suo stesso abate, Oberto, e il vescovo di Firenze, Pietro Mezzabarba, entrambi simoniaci. Non essendo incline ai compromessi e non riuscendo ad allontanarli dalla città, preferì ritirarsi in solitudine. Nel 1036, dopo varie peregrinazioni, insieme ad alcuni monaci, giunse a Vallombrosa, conosciuta allora come Acquabella. Qui lo raggiunsero altri monaci, fuggiti dal monastero del sopraccitato abate mercenario, e con essi, verso il 1038, creò la Congregazione benedettina vallombrosana, approvata da papa Vittore II nel 1055 e fondata su austera vita comune, povertà, rifiuto di doni e protezioni. La comunità di Giovanni Gualberto si diffuse in Toscana e seppe uscire arditamente dal monastero, con vivaci campagne di predicazione per liberare la Chiesa dagli indegni. A questi monaci si ispirarono e si affiancarono gruppi di sacerdoti e di laici, dilatando l'efficacia della loro opera, di cui si servirono i papi riformatori. Nel 1060-61 Milano cacciò molti preti simoniaci e, per sostituirli, Giovanni Gualberto ne mandò altri: uomini nuovi, plasmati dallo spirito di Vallombrosa. Dedicò grande attenzione al clero secolare; lo aiutò a riformarsi, lo guidò e lo incoraggiò alla vita in comune. "La purezza della sua fede splendette mirabilmente in Toscana", dirà di lui papa Gregorio VII. E i fiorentini, in momenti difficili, affideranno agli integerrimi suoi monaci perfino le chiavi del tesoro della Repubblica. Giovanni Gualberto morì nel monastero di Passignano il 12 luglio 1073. Ai suoi monaci, prima di morire, aveva detto: « Quando volete eleggervi un abate, scegliete tra i frati il più umile, il più dolce, il più mortificato». Senza ostentazione e retorica, egli aveva tracciato il profilo della propria anima. Papa Celestino III lo canonizzerà nel 1193. I suoi monaci tornarono nel 1951 a Vallombrosa, che avevano lasciato in seguito alle leggi soppressive del XIX secolo. Nello stesso anno, papa Pio XII proclamò san Giovanni Gualberto patrono del Corpo Forestale italiano e nel 1957 dei Forestali del Brasile. Ma c'entra davvero san Giovanni Gualberto con Montenovo? Lo vedremo domani nella seconda parte dell'articolo.

Chiara Fiorani