Santo del giorno 26 dicembre Santo Stefano primo martire Stampa
Giovedì 26 Dicembre 2013 00:00

Santo del giorno 26 dicembre Santo Stefano primo martireLa celebrazione liturgica di santo Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio. Così al 26 dicembre c’è santo Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 san Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i santi Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di san Pietro e san Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno. Del grande e veneratissimo martire san Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”. Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme. Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate. Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero. La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale. Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto. Nel 33 o 34 circa gli ebrei ellenistici, vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”. Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”. E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore. Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”. Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”. Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, san Paolo), che assisteva all’esecuzione. In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato. Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”. Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo. Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo. Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome. Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini. Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì san Paolo, i compagni erano il protomartire santo Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a santo Stefano e sant’Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario. Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima. Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di santo Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme. Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, un braccio a Sant’Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a San Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura. La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415. Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di Santo Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio. Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’, la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori. Ancona fu tra le primissime città al mondo a ricevere l’annuncio della fede cristiana, proprio immediatamente dopo la stessa morte in croce e risurrezione di Cristo. Da Ancona poi si diffuse il cristianesimo nell’Italia Centrale, a motivo soprattutto di una “miracolosa reliquia”, tutt’oggi esistente, di un “sasso che colpì il protomartire Santo Stefano” (cfr. At.7,54-60) e che fu portato in Ancona da un marinaio ebreo ed ivi lasciato in obbedienza ad “una rivelazione divina ricevuta” e che veniva conservato in un Santuario risalente all’epoca costantiniana e divenuto celebre in tutto il Mediterraneo per i miracoli che vi avvenivano. La documentazione più antica sulla presenza di un Santuario di Santo Stefano in Ancona è fornita da Sant’Agostino ed appartiene alle omelie che egli recitò nella Cattedrale di Ippona, nella prima metà del secolo V. Nell’Opera Omnia di Sant’Agostino è riportata una relazione compilata da un certo Paolo, che aveva peregrinato per i Santuari più famosi del tempo per impetrare la sua guarigione e quella dei suoi fratelli e sorelle. Egli ricorda, in tale relazione, che dopo essere stato a San Lorenzo presso Ravenna, dove guarì il maggiore tra i fratelli, diresse i suoi passi in Ancona, che era illustre per i miracoli al di sopra degli altri luoghi di culto: “…Sed ut de ceteris celeberrimis sanctorum locis taceam, etiam ad Anconam, Italiae civitatem ubi per gloriosissimum Martyrem Stephanum multa miracula Dominus operatur, eadem circuitione perveni”. Dopo la lettura della relazione, nella Cattedrale di Ippona, Sant’Agostino tenne la sua omelia e, dopo aver ammonito i genitori a non maledire i figli - Paolo ed i suoi fratelli, infatti, si erano ammalati dopo essere stati maledetti dalla madre - spiega i motivi della notorietà del Santuario di Ancona, indicando anche come esso ebbe origine: “Sanno molti quanti miracoli avvengono in questa città (Ancona) per l’intercessione del beatissimo Stefano. Ma ascoltate ciò che vi farà stupire: colà vi era una memoria antica ed ancora vi è (ed ancor oggi, nel 2006!). Ma se, per caso, mi si dice: se ancora il corpo (di Santo Stefano) non era stato trovato, come poteva esservi una memoria? Ne mancherebbe il motivo. Ma ciò che la fama ci ha fatto conoscere, non lo tacerò alla vostra carità. Quando lapidavano Santo Stefano (cfr. Atti 7,54-60), vi erano intorno anche innocenti e soprattutto quelli che già credevano in Cristo: dicono che un sasso lo colpì su un gomito (= “ankon”) e, rimbalzando, cadde davanti ad un certo uomo pio. Questi lo prese e lo conservò. Costui era un navigante e quando a causa dei suoi viaggi toccò il porto di Ancona (= “gomito”), gli fu rivelato che ivi doveva lasciare il sasso. Egli obbedì alla rivelazione e fece quanto gli era stato ordinato: da quel momento cominciò ad esservi la Memoria di Santo Stefano e si diceva che vi era un braccio di Santo Stefano, non conoscendosi esattamente di ciò che si trattava”. In Ancona, dunque (cioè, come a dire, nella città di “Gomito”), vi fu portato un sasso che colpì proprio “il gomito” del braccio di Santo Stefano… Per “volontà e rivelazione divina” fu lasciato in Ancona (cioè, in “Gomito), ove vi fu costruito un Santuario divenuto “illustre per i miracoli al di sopra degli altri luoghi di culto” e che divenne la prima cattedrale di Ancona. Il sasso-reliquia è oggi conservato nel Museo Diocesano di Ancona, esposto nella prima sala dedicata alle “Origini del Cristianesimo”. La prima sala è detta “sala delle origini” poiché attraverso i vari reperti architettonici e scultorei presenti è possibile ripercorrere i momenti più salienti della storia delle origini del Cristianesimo ad Ancona, in particolare grazie alla presenza del Reliquiario di Santo Stefano da cui si avvia l’iter museografico. Il Reliquiario in rame dorato di fattura tardogotica contiene il famoso sasso-memoria del protomartire cristiano Stefano.

Da: http://www.santiebeati.it, www.lavoce.an.it e http://www.museodiocesanoancona.it