Santo del giorno 27 luglio: San Simeone Stilita il Vecchio Stampa
Martedì 27 Luglio 2021 00:00

Santo del giorno 27 luglio: San Simeone Stilita il VecchioSimeone nacque a Sis, in Cilicia, verso l’anno 380, da una famiglia di poveri pastori. Nell’infanzia sua unica occupazione fu la custodia del gregge. Un giorno, non essendo potuto andare al pascolo a causa della neve, si recò in chiesa ove rimase emozionato udendo la lettura delle beatitudini evangeliche. Chiese allora ad un vegliardo come fosse possibile conseguire la felicità che esse promettevano e questi gli suggerì di abbandonare senza esitazioni il mondo. Simeone entrò allora in un’altra chiesa e, prostrato per terra, pregò a lungo il Signore perché gli mostrasse la sua volontà. Addormentatosi, in sogno gli sembrò di scavare le fondamenta di una casa: tra una sosta e l’altra, una voce più volte lo ammonì: “Scava più a fondo”. Quando le fondamenta raggiunsero una certa profondità, la medesima voce gli disse: “Adesso puoi costruire l’edificio all’altezza che vorrai”. Desiderando vincere se stesso e raggiungere la perfezione, Simeone decise di rinchiudersi in un monastero, dove condusse una vita innocente e improntata ad una dura austerità, dedito agli uffici più umili. Siccome aspirava ad una perfezione ancora più alta, due anni dopo si trasferì nella solitudine di Teleda per una decina d’anni. Qui i suoi compagni mangiavano ogni due giorni, egli invece passava tutta la settimana senza assumere cibo. I poveri erano i beneficiari della sua razione. L’abate Eliodoro, non approvando quella sua singolarità, tentò invano di moderarlo. Un giorno Simeone si strinse fortemente attorno al corpo una corda tessuta di mirto selvatico, tanto da provocare vistose piaghe e dopo alcuni giorni fu scoperto per il sangue che perdeva e il fetore che emanava. Furono necessarie varie cure e, appena guarì, l’abate lo congedò dal monastero, affinché quello straordinario fervore non inducesse altri ad imitarlo. Simeone si rifugiò in un pozzo asciutto e in esso pregò e pianse di continuo, credendosi un grande peccatore, finché l’abate cinque giorni dopo lo mandò a richiamare, pentito del cattivo trattamento che gli aveva riservato. Un anno dopo, però, Simeone uscì definitivamente dal monastero per stabilire la sua dimora in una capanna a Teli Nesim, nei pressi di Antiochia, sotto la direzione del sacerdote Basso. Essendovi giunto al principio della quaresima, si propose di trascorrerla nel più assoluto digiuno, ma il suo maestro si oppose, considerando un simile progetto una tentato suicidio. Infine si fece murare nel tugurio con soli dieci pani e una brocca d’acqua. Al termine della quaresima Simeone giaceva per terra senza voce e senza movimento, ma dopo aver ricevuto la comunione riacquistò le forze. Per ben ventotto anni puntualmente egli rinnovò questo terribile digiuno quaresimale. Dopo aver trascorso tre anni in quella misera cella, Simeone salì sulla vicina montagna e, per darsi alla contemplazione, si fece legare una catena a un piede, infissa nella roccia del recinto che si era fatto costruire a ridosso del monte. Melezio, vescovo di Antiochia, visitando Simeone nella volontaria prigione, si permise di fargli notare che in tale maniera atroce venivano legate soltanto le bestie feroci. Il santo si propose allora di tendere alla perfezione con la forza della volontà e nel rompere la catena, il cuoio villoso che gli proteggeva la carne apparve anche agli occhi di Teodoreto pieno di cimici: Simeone ne aveva sopportato i morsi con un’invincibile pazienza. La vita straordinariamente penitente praticata dal santo, nonché i miracoli da lui operati, attirarono una folla immensa di pellegrini. Trovando esagerati gli atti venerazione nei suoi confronti, ritenne allora opportuno relegarsi sopra una colonna e successivamente altre tre di altezza sempre superiore. La colonna era sormontata da una balaustrata di un metro circa di diametro, sprovvista di alcun riparo dalla pioggia o dal sole. Lo stilita non poteva dunque né sdraiarsi, né sedersi. Ogni settimana riceveva la comunione e ogni quaranta prendeva un po’ di cibo. In tal modo rimase pur sempre esposto agli sguardi della folla, apparendo come un modello di sovrumana fortezza e di costanza. Simeone si rivolgeva con semplicità al popolo due volte al giorno, dopo nona, per rendere giustizia ai litiganti, per ricordare la necessità del distacco dai beni terreni e i terribili castighi riservati agli ostinati peccatori. Il resto della giornata lo riservava alla preghiera. Convertì molti saraceni, persiani, georgiani e armeni. Sempre con dolcezza combatté inoltre gli errori dei giudei, degli eretici e dei pagani. Simeone godette fama di taumaturgo e di profeta. Nessuno si allontanò da lui senza essere consolato: fece scaturire una sorgente di acqua in una località che ne era priva, ottenne figli alle regine dei saraceni e degli israeliti, predisse guerre e carestie, ridonò la salute a tanti infermi. L’imperatore San Teodosio II il Giovane lo supplicò di lavorare per il bene della Chiesa e di fare in modo che Giovanni, patriarca di Antiochia, cessasse dal sostenere la causa dell’eretico Nestorio. L'imperatore San Leone I il Grande gli scrisse invece riguardo al concilio di Calcedonia e a Timoteo Eluro, impadronitosi del patriarcato di Alessandria uccidendo San Proterio. Da parte sua Simeone rammentò ai prelati e ai principi i loro doveri, pur considerando se stesso “un vile e abietto verme e l’aborto dei monaci”. Alla vedova di Teodosio II, Santa Eudossia, che gli chiese un parere sull’eretico Eutiche e sul concilio di Calcedonia, egli consigliò di ricorrere a Sant’Eutimio il Grande. Il disprezzo che Simeone aveva sempre nutrito per il proprio corpo, lo rese insensibile ai dolori cagionatigli dalle piaghe, ma ebbe comunque il presentimento della sua ultima ora. Ricevette l’ultima volta l’Eucaristia per mano di Domno, patriarca di Antiochia. Infine, il 2 settembre 459, all’età di circa 70 anni, l’eroico penitente rese la sua anima a Dio, mentre s’inchinava sulla sua colonna come era solito fare per iniziare la sua preghiera. Alla notizia del decesso, il patriarca di Antiochia e altri sei vescovi, nonché il capo della milizia Ardaburio con ben seicento soldati, si recarono ai piedi della colonna. Tre vescovi vi salirono e baciarono le vesti dello stilita recitando salmi. Il suo corpo venne posto in una bara di piombo. I saraceni accorsero armati tentando d’impadronirsene, ma Ardaburio si oppose fermamente. Una enorme folla accorse attorno alla colonna con profumi, ceri e fiaccole. Il corpo di Simeone venne allora collocato sopra un altare di marmo, eretto dinnanzi alla colonna, e tutti i vescovi lo baciarono devotamente. Il feretro, deposto sopra un carro, fu poi trasferito ad Antiochia. L’imperatore Leone I avrebbe poi voluto fare trasportare le reliquie a Costantinopoli, ma dovette desistere dal suo progetto per le suppliche degli antiocheni. Sul sepolcro del santo iniziarono a verificarsi più miracoli di quanti non ne avesse compiuti in vita. Un magnifico tempio a forma di croce con un quadriportico, del quale rimangono le rovine, fu invece eretto a Qal'at Sim'an attorno alla colonna sulla quale Simeone aveva compiuto tante penitenze. Notizie abbastanza dettagliate su questo santo stilita ci sono pervenute dalla testimonianza oculare di Teodoreto, vescovo di Ciro e storico imparziale, che fu suo intimo amico. La sua strana forma di ascetismo, assai discussa sin dai suoi tempi, oggi non sarebbe più compresa. Non si può tuttavia negare che tale specialissima vocazione si sia rivelata utile all’edificazione del popolo e per la difesa della fede. Discepolo ed imitatore di Simeone fu lo stilita San Daniele, che introdusse gli stiliti a Costantinopoli. Commemorato in data 27 luglio dal Martyrologium Romanum, San Simeone Stilita è detto “il Vecchio”, onde distinguerlo dal santo omonimo vissuto nel secolo successivo, monaco in Siria, che visse per ben sessantotto anni su una colonna, tanto da meritarsi anch’egli il soprannome “stilita” ed è dunque noto come San Simeone Stilita il Giovane.

estratto da: http://www.santiebeati.it

da Centro Cultura Popolare